“La Resa della Repubblica” di Salvo Andò
La casa editrice Koinè – Nuove Edizioni ha pubblicato un
libro del Rettore dell’Università Kore Salvo Andò dal titolo
“La Resa della Repubblica” finito di stampare nel mese di
maggio dello scorso anno 2006. L’autore, già Parlamentare
del Partito Socialista Italiano, ha voluto raccogliere una
serie di riflessioni sul drammatico momento politico che ha
vissuto il sistema democratico italiano nel passaggio tra la
prima e la seconda Repubblica. In tale contesto, Salvo Andò
ha cercato di rispondere alle tante domande ancora oggi
rimaste prive di risposta in ordine alle motivazione della
crisi irreversibile del P.S.I.. Gli argomenti trattati sono
tanti e tutti meritevoli di commento, su uno però
l’approfondimento appare necessario, quello della 2°
Repubblica. La 2° Repubblica viene configurata nell’opinione
pubblica come quel sistema istituzionale venutosi a creare a
seguito dell’epilogo della 1° Repubblica ad opera del
fenomeno di tangentopoli. Una lettura frettolosa e frutto
del clima ereditato da quei terribili anni in cui il potere
giudiziario si sostituì a quello politico. La storia e la
futura letteratura sul periodo in questione ci daranno tanti
altri contributi per comprendere meglio come e perché si
dovette passare da un sistema politico ad un altro
attraverso elementi traumatici come quelli raccontati da
Andò, tuttavia ritenere che la 2° Repubblica sia solo fumo
negli occhi o il risultato di una lotta interna alla
sinistra, appare riduttivo e poco convincente. Certo, se si
ritiene che il sistema politico/partitico sia il solo a
determinare la durata di una “Repubblica”, allora è anche
vero che l’azione di chirurgia estetica, a cui si sono
sottoposti alcuni partiti e molti uomini politici, non può
indurci a pensare di trovarci in una 2° Repubblica. Ma se
consideriamo tanti altri elementi, che certamente non
possono essere individuati negli anni precedenti, almeno
così simultaneamente, potremmo anche serenamente parlare di
una nuova Repubblica. Se sia la 2° o la 3° è difficile
precisarlo, tuttavia alcuni cambiamenti vanno ricordati per
convincersi del passaggio storico. Lo spartiacque che
impregna seriamente l’architrave istituzionale del sistema
democratico italiano si ha nei primi anni ’90. Cambia
infatti, attraverso la legge sul procedimento
amministrativo, il volto della Pubblica Amministrazione ed i
suoi rapporti col cittadino. L’applicazione del principio
costituzionale circa la valorizzazione delle autonomie
locali, unitamente all’elezione diretta dei Sindaci, ribalta
il precedente sistema istituzionale, portando le comunità
locali al centro dell’attenzione dei processi politici,
economici e sociali. Si avvia il processo di decentramento
amministrativo dallo Stato verso le autonomie locali. Si
sancisce la netta separazione tra potere politico e gestione
amministrativa nel governo della cosa pubblica. L’adesione
al Trattato di Mastricht impone allo Stato italiano di
rispettare gli impegni assunti in sede comunitaria riducendo
progressivamente la spesa pubblica. Vengono eletti
direttamente anche i Presidenti di Regione, così creando i
cosiddetti Governatori. Infine, viene anche riformato il
titolo V° della Costituzione, aprendo le porte allo Stato
sussidiario ed al Federalismo fiscale. La portata di tali
riforme, senza volere cadere nella tentazione di citare
anche quella del sistema elettorale che mi porterebbe dritto
nella trappola di Salvo Andò, basterebbe certamente ad
attribuire al decennio 90/2000 il valore riformista che
merita e, perché no, quello di cerniera istituzionale in
grado di segnare il passaggio da un modello di Repubblica
“stanco” in cui si era adagiato il pentapartito ad un altro,
ancora in fibrillazione ma decisamente più adeguato ed
aperto alle sfide della modernità.
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