massimo greco

 

 

 

 

Le attività non profit

 

Osservando le lunghe derive della storia in ogni momento di discontinuità, di frattura profonda, si vede riapparire la voglia di mutualismo e di cooperare. E’ stato così nel nostro Paese nel passaggio epocale dall’800 al 900 caratterizzato dall’onda lunga, per una moltitudine, da una società agricola a una società industriale. Anche il tempo presente è segnato da una frattura profonda”.[1]

Concetti quali mutualismo e cooperazione sono stati nel tempo collocati all’interno del più grande contenitore denominato non profit. Il termine risale al significato economico dell’agire umano. Nell’ottica tradizionale, l’economia è infatti una disciplina basata su un assunto forte, quello del perseguimento del proprio interesse da parte degli individui. Trattasi, in buona sostanza, del paradigma scientifico forse più longevo nel campo delle scienze umane, da quando Adam Smith ne pose le fondamenta. Qui trova origine la definizione in negativo del non profit. Il non profit è un complesso di organizzazioni e di idee che occupa uno spazio rilevante nel mondo contemporaneo, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello sociale. L’etichetta è in negativo in quanto, evidentemente, designa qualcosa non conforme alle regola, a ciò che rientra nella norma. Si pre-suppone che la norma sia profit. Questo, con molti pre-giudizi, trova fondamento nella fenomenologia dell’agire quotidiano dell’individuo, dove le gerarchie sociali vengono spontaneamente e normalmente connesse al successo economico o comunque alla ricerca di ciò che produce profitto. “Il difetto delle definizioni residuali o in negativo, è che spesso designano fenomeni diversi, accomunati appunto dalla condivisione di una negazione. Finiscono per essere quello che gli anglosassoni chiamano <<termini ombrello>>, parole che coprono cose diverse”.[2]

I tre modi più rappresentativi in cui si manifesta il non profit sono: a) l’altruismo, inteso come tendenza ad adoperarsi per gli altri in assenza di un calcolo di convenienze reciproche; b) la beneficenza, intesa come un atto di donazione fine a se stesso, senza alcuna pretesa o proposta di controprestazione; c) la fornitura di beni e servizi non prodotti né dall’attore pubblico, né dalle imprese orientate al profitto.


 

[1] Aldo Bonomi, “Un modello ipermoderno”, Il Sole 24 Ore, 24/04/2006.

[2] Paolo Legrenzi e Giuliano Segre, “A che cosa servono le fondazioni bancarie”, Il Mulino, n. 2/2007.

                                                                                                       

Enna,  3/06/2007

 

  Massimo Greco
 

 

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