massimo greco

 

 

 

 

Il distretto tessile di Valguarnera perde la sfida con la Cina

 

Le politiche di sviluppo non sono uguali per tutte le stagioni e, in linea di massima, la storia del pensiero economico ce lo aveva già insegnato. Improbabile è però ipotizzare che i decani di tale pensiero avessero prefigurato uno scenario globale in cui la Cina detenesse il timone dell’economia mondiale. Basta curiosare nel sito www.alibaba.com per renderci immediatamente conto del tipo di sfida lanciata da Pechino al resto del mondo, Enna compresa. Per la modica spesa di 5mila dollari l’anno alcuni milioni di importatori di tutto il mondo hanno la possibilità di fare affari, a colpi di clic per 24 ore al giorno, con due milioni di imprese cinesi pronte a vendere di tutto, dalle pentole ai guanti di ogni tipo, dalla lavatrice al jeans, dal tosaerba da giardino al pigiama. Bisognerà fare i conti con tale scenario se non si vuole perdere tempo e risorse, partendo dalla considerazione che un grande Paese, con grandi numeri e grandi prospettive come la Cina non può essere fermato con politiche protezionistiche e con dazi. Molti dicono che necessita maggiore innovazione e maggiore qualità dei nostri prodotti e tutto questo potrebbe essere vero, tuttavia alcune cifre devono farci ancor più riflettere se non altro per comprendere se ciò potrà bastare a reggere la sfida. Un giubbotto confezionato a Empoli costa 100 euro, quello (probabilmente clonato) cinese 20. Uno stivale da donna prodotto a Santa Croce costa 120 euro, quello cinese 5. Un piatto di ceramica di Montelupo costa 4,1 euro, il corrispondente cinese 0,80. Un divano e due poltrone, 196,40 euro, in Cina 120 euro. Potremmo continuare citando tutta la gamma dei prodotti del manifatturiero e non solo di quello, ma preferiamo fermarci per non allarmare i nostri produttori-eroi. Il dato più interessante e, nello stesso tempo, più drammatico è che il costo del lavoro del tessile italiano è 40 volte superiore a quello cinese (15,6 dollari l’ora contro lo 0,41 cinese), le ore medie lavorate da un operaio tessile cinese sono 2.200 l’anno contro le 1.600 di un italiano, i produttori cinesi pagano l’energia elettrica un terzo di quella che si paga in Italia. Vero è che diritti umani e condizioni lavorative in Cina sono ancora molto al di sotto degli standard occidentali, ma è anche vero che questo potrebbe portarci solo a fare battaglie umanitarie per la promozione dei diritti umani. Intanto le nostre realtà produttive migliori sono costrette a chiudere, comprese quelle, come il distretto del tessile di Valguarnera, che per tanti lustri sono riuscite ad alimentare l’economia locale di una provincia debole come la nostra.

                                                                                                                                                

Enna 3/4/2007                                                                                                      Massimo Greco

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