massimo greco

 

           La nuova frontiera istituzionale

 

 

 

Con la riforma del Titolo V° della Costituzione le discussioni riguardanti quale dimensione territoriale privilegiare in un Paese strutturato su autonomie locali sono tante e rischiano di generare conflitti istituzionali non facilmente sanabili. L dibattito su quale fosse la dimensione territoriale più adeguata è stato anche oggetto dell’ultimo Convegno promosso dall’U.R.P.S. sul futuro delle Province Siciliane e si è incentrato su: scala regionale o scala provinciale. L’analisi geopolitica sconfessa alcune certezze e rilancia la scala provinciale. Infatti le argomentazioni addotte dai fautori della scala regionale sono basate sulla costruzione di attori economici estremamente robusti. Nello studio della fondazione Agnelli si parla, per esempio, di dodici macroregioni frutto dell’unione di regioni attualmente esistenti, ma questo approccio aumenterebbe il gap esistente tra regioni del Nord e regioni del Sud. Coordinare insiemi di simile dimensione (geografica come economica) è estremamente difficile: si sovrappongono troppi attori istituzionali e questo conduce a compromessi travagliati e poco efficaci, in secondo luogo eventuali errori di programmazione, potrebbero essere estremamente gravi e di lunga durata. Questa divisione inoltre non prende in considerazione quelle che sono le caratteristiche peculiari del territorio, prendendo in considerazione prevalentemente gli aspetti economici e trascurando il resto, dal politico, al sociale, fino al geografico. Lo stesso aspetto economico è privilegiato dal Comitato delle Regioni dell’U.E.. Attenzione però a non considerare per questo come unica misura verso l’Europa l’adeguamento della propria struttura a scala regionale. La regione può essere  il terminale di collegamento tra aree locali e Europa, ma la programmazione deve essere fatta dal basso. La scala provinciale in Italia è la più idonea a questa funzione, vista l’elevata adattabilità a quelle che sono le esigenze e le diversità italiane. Si darebbe così , al tempo stesso, voce a quei Comuni che da soli non potrebbero mai trovare sufficiente spazio di espressione. Oggi, purtroppo, la scala provinciale non è adeguatamente considerata dalla Regione Siciliana e non bastano convegni e richiami giornalistici a far cambiare rotta ai nostri Parlamentari regionali. Non si contano più gli atti amministrativi ed i provvedimenti legislativi tutti mirati a non considerare il nuovo contesto ordinamentale generato dalle riforme Bassanini prima e dal nuovo titolo V° della Costituzione dopo. Addirittura qualche Dirigente Generale della Regione Siciliana riesce pure a mettere nero su bianco una declassificazione  delle Province siciliane rispetto a quelle del resto d’Italia pur di non trasferire determinate competenze a queste ultime.

Non ci resta che sperare nella bozza di revisione dello Statuto della Regione Siciliana, che per quanto riguarda gli enti locali ne riconferma la peculiare valenza sancendone la più ampia autonomia statutaria, regolamentare, amministrativa e finanziaria, esplicitandone il principio di sussidiarietà, ed istituisce la Conferenza Regione- Autonomie locali quale organo di consultazione e di raccordo, al fine di garantire la partecipazione degli enti locali alle scelte di politica regionale.

In attesa che a tali auspici seguano i fatti sarebbe opportuno dare corso all’istituzione di un tavolo permanente tra la Regione Siciliana e le Associazioni delle Autonomie Locali, supportato da esperti, avente il compito di precisare un quadro generale degli orientamenti, delle azioni e degli approfondimenti mirati ad una specifica politica di attuazione costituzionale delle Autonomie locali negli ordinamenti speciali.

                                                                                                                                                                                                                                   

Dott. Massimo Greco