massimo greco

 

 
 

 

Lauree facili? No grazie.

Non sempre ciò che viene riformato subisce miglioramenti. E’ il caso del sistema universitario, una riforma fortemente voluta dal Ministro Berlinguer per innovare gli atenei riconoscendo loro ampi margini di autonomia. La riforma partiva dalla constatazione che la metà degli iscritti non conseguiva il titolo di studio e che l’Università italiana possedeva il numero di laureati più basso d’Europa. L’idea geniale del Ministro fu quella di istituire le lauree triennali. Così ci troviamo oggi un numero certamente maggiore di studenti che proseguono gli studi dopo le superiori, ma contestualmente è aumentato il divario, già esistente, tra il numero d’iscritti presso facoltà scientifiche ed il numero d’iscritti presso facoltà umanistiche. Secondo l’ISTAT, le matricole di Ingegneria sono il 12%, quelle di facoltà economico-statistiche il 14% mentre l’insieme di quelle umanistiche assommano ben il 28%. In meno di vent’anni siamo passati da 28 a 7 mila matricole nelle are tecnico-scientifiche. Il numero si riduce ancora di più se analizziamo il dato dei laureati finali. Di contro, abbiamo eserciti di matricole in Scienze delle Comunicazioni ed in Scienze Psicologiche pronti a fare, acquisita la laurea triennale, i “disoccupati intellettuali”. In questi giorni i neo diplomati saranno chiamati a scegliere il corso di laurea a cui iscriversi. Chissà se nei vari saloni di orientamento faranno presente che esiste un dato ulteriormente confermato dall’ultima indagine di Unioncamere, secondo cui il profilo-modello che cercano le aziende è quello di un laureato in economia (per il 33%), ingegneria (per il 24%) o chimica-farmaceutica (per il 17%). La somma di questi tre settori è pari ai tre quarti dei posti di lavoro offerti.

Per un lavoratore, addirittura, il triennio subisce sconti inverosimili attraverso l’ennesima geniale idea, sempre inserita nella riforma Berlinguer, di riconoscere il valore formativo ad esperienze di lavoro. Si assiste, quindi, all’aumento esponenziale delle iscrizioni ai vari atenei in considerazione del fatto che la propria esperienza può abbonare fino a 125 crediti formativi, pari a due anni. Morale, con un solo anno di studio si acquisisce il titolo di studio. Dal canto suo, l’ateneo incassa rette da capogiro per reggere una concorrenza che ha sempre più il sapore commerciale e sempre meno quello culturale. C’è voluta una trasmissione televisiva (Report), per scoperchiare la pentola e per indurre il Ministero dell’Università a correre ai ripari ponendo un limite al riconoscimento discrezionale dei crediti formativi. Occorrerà una contro-riforma?                                                                                                                                                                                                                                    

 
Enna  25/8/2006

 Massimo Greco