Lauree facili? No grazie.
Non sempre ciò che viene riformato subisce miglioramenti. E’
il caso del sistema universitario, una riforma fortemente
voluta dal Ministro Berlinguer per innovare gli atenei
riconoscendo loro ampi margini di autonomia. La riforma
partiva dalla constatazione che la metà degli iscritti non
conseguiva il titolo di studio e che l’Università italiana
possedeva il numero di laureati più basso d’Europa. L’idea
geniale del Ministro fu quella di istituire le lauree
triennali. Così ci troviamo oggi un numero certamente
maggiore di studenti che proseguono gli studi dopo le
superiori, ma contestualmente è aumentato il divario, già
esistente, tra il numero d’iscritti presso facoltà
scientifiche ed il numero d’iscritti presso facoltà
umanistiche. Secondo l’ISTAT, le matricole di Ingegneria
sono il 12%, quelle di facoltà economico-statistiche il 14%
mentre l’insieme di quelle umanistiche assommano ben il 28%.
In meno di vent’anni siamo passati da 28 a 7 mila matricole
nelle are tecnico-scientifiche. Il numero si riduce ancora
di più se analizziamo il dato dei laureati finali. Di
contro, abbiamo eserciti di matricole in Scienze delle
Comunicazioni ed in Scienze Psicologiche pronti a fare,
acquisita la laurea triennale, i “disoccupati
intellettuali”. In questi giorni i neo diplomati saranno
chiamati a scegliere il corso di laurea a cui iscriversi.
Chissà se nei vari saloni di orientamento faranno presente
che esiste un dato ulteriormente confermato dall’ultima
indagine di Unioncamere, secondo cui il profilo-modello che
cercano le aziende è quello di un laureato in economia (per
il 33%), ingegneria (per il 24%) o chimica-farmaceutica (per
il 17%). La somma di questi tre settori è pari ai tre quarti
dei posti di lavoro offerti.
Per un lavoratore, addirittura, il triennio subisce sconti
inverosimili attraverso l’ennesima geniale idea, sempre
inserita nella riforma Berlinguer, di riconoscere il valore
formativo ad esperienze di lavoro. Si assiste, quindi,
all’aumento esponenziale delle iscrizioni ai vari atenei in
considerazione del fatto che la propria esperienza può
abbonare fino a 125 crediti formativi, pari a due anni.
Morale, con un solo anno di studio si acquisisce il titolo
di studio. Dal canto suo, l’ateneo incassa rette da capogiro
per reggere una concorrenza che ha sempre più il sapore
commerciale e sempre meno quello culturale. C’è voluta una
trasmissione televisiva (Report), per scoperchiare la
pentola e per indurre il Ministero dell’Università a correre
ai ripari ponendo un limite al riconoscimento discrezionale
dei crediti formativi. Occorrerà una
contro-riforma? |
|