La crisi delle società miste pubblico-privato
La partecipazione degli enti locali a società di capitali per la
gestione dei servizi pubblici, o per altre finalità equipollenti, trova
le sue lontane origini nei primi decenni del secolo e si è sviluppata in
una situazione di sostanziale anonimato normativo fino agli anni ’90.
Per la verità il legislatore siciliano con l’art. 18 della legge 9/86
aveva già riconosciuto ai comuni ed alle province la facoltà di
promuovere, per la gestione di servizi pubblici, la costituzione di
società per azioni a prevalente capitale pubblico qualora si fosse resa
opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la
partecipazione di altri soggetti pubblici e privati. La legge di riforma
delle autonomie locali n. 142 dell’8/6/90 ha portato elementi innovativi
di rilievo in relazione al tema delle s.p.a a partecipazione pubblica
locale, riconoscendo la legittimità dell’utilizzo di tale modulo
organizzativo per la gestione dei servizi pubblici locali. Tuttavia,
l’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale ha consentito di
evidenziare nel tempo tutta una serie di ampie problematiche, legate –
nella maggior parte dei casi – alla difficile coesistenza di istituti
tipicamente civilistici (quali le ss.pp.aa.) con i vincoli e le finalità
proprie della disciplina pubblicistica. Per avere, comunque, un quadro
normativo più organico che affrontasse le numerose questioni che
toccavano aspetti certamente non secondari, quali, ad esempio, la
definizione dei rapporti tra l’ente territoriale e la società
partecipata (titolo di affidamento del servizio) si è dovuto attendere
l’arrivo dell’art.113, comma V, del Testo Unico degli enti locali da
ultimo modificato ed integrato dall’art. 14 del decreto legge n.
269/2003 conv. in legge n. 326/2003, ed applicabile nell’ordinamento
regionale siciliano alla stregua del rinvio dinamico dallo stesso
operato alla disciplina di settore.
In 15 anni, circa, di esperienza lo strumento della s.p.a a prevalente
capitale pubblico è stato per lo più utilizzato dagli enti locali per
“sfuggire” alle regole del mercato concorrenziale ed affidare
direttamente alla s.p.a. la gestione del servizio pubblico locale. Ciò
ha consentito, nel tempo, di individuare soci privati anche senza
procedure ad evidenza pubblica ed a reclutare risorse umane senza alcuna
selezione pubblica. In questi 3 lustri ne hanno beneficiato tutti
(soprattutto la politica ed i suoi emissari) tranne i cittadini che non
hanno mai avuto la possibilità di sapere se per quello stesso tipo di
servizio pubblico si poteva ottenere un livello qualitativo delle
prestazioni superiore e magari con un costo inferiore. Ciò perché è
sempre mancato il “dispiegarsi” del confronto tra diversi operatori
economici di comparto in un libero mercato concorrenziale.
Il legislatore statale nel tentativo di non fare uno sgarbo alle holding
dei servizi pubblici si è pure inventato l’in house providing per
continuare a giustificare gli affidamenti diretti derogando le norme
sugli appalti pubblici, ma la presenza nell’Ordinamento pubblico di un
terzo incomodo ha comportato la rottura definitiva del “giocattolo”.
Parliamo infatti della Corte di Giustizia Europea, Organo non amato
dagli Stati Europei, perché preposto a far rispettare le norme e i
principi contenuti nel Trattato Europeo, anche contro il loro volere.
La Suprema Corte
di Giustizia, con più sentenze emesse nel 2005, ha stabilito che la
partecipazione seppure minoritaria di una impresa privata esclude in
ogni caso che l’amministrazione aggiudicataria possa esercitare sulla
società partecipata un controllo analogo a quello che la stessa esercita
sui propri servizi. La presenza di un terzo privato presuppone sempre da
parte della pubblica amministrazione un minimo di considerazione dei
suoi interessi economici e questo potrebbe ostacolarla nella concreta
realizzazione dell’interesse pubblico. E poiché sia la P.A. che il
Giudice hanno l’obbligo di disapplicare la normativa nazionale o
regionale che si ponga in contrasto con il Trattato istitutivo
dell’Unione Europea e con la disciplina comunitaria di immediata
applicazione (Sent. Corte Cost. 8/06/84 n. 170), mi auguro che i nostri
Amministratori della cosa pubblica ne prendano serenamente coscienza e
restituiscano al libero mercato le sorti sull’aggiudicazione degli
appalti di servizi pubblici locali.