massimo greco |
"L' esperienza del Patto territoriale" |
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Pur con difficoltà, gli
approcci partecipati rappresentano il tentativo di costruire una nuova
capacità da parte degli Enti locali fatta di regole, pratiche e forme di
interazione flessibili e calate nelle diverse realtà locali e che segnano
il passaggio da un’ispirazione di government, come funzione esclusiva
del soggetto pubblico, ad un’ispirazione di governance, come
accrescimento della capacità degli attori locali portatori d’interesse
di intraprendere azioni politiche appropriate. Nell’esperienza del Patto
territoriale ennese mancano tali presupposti, forse perché ha scontato il
fatto di essere stato uno dei primi Patti generalisti in Italia ad essere
attivato. In ogni caso non si può fare a meno di evidenziare i maggiori
limiti dell’iniziativa negoziata in questione e cioè: Ø
La mancanza di una strategia
complessiva, o per usare un termine tecnico, la mancanza di un’idea
forza sulla quale impostare un’ipotesi di sviluppo locale
Siamo in presenza non di una filiera, ma di una “macedonia
imprenditoriale”. Ø
La mancanza di adeguate
procedure selettive per la scelta degli imprenditori interessati
all’iniziativa patrizia. Ø
Un costo troppo elevato per
creare un singolo posto di lavoro (lire 292 milioni) rispetto al Patto di
Palermo (136 milioni), al Patto delle Madonie (127 milioni) o al Patto di
Lecce (62 milioni). Se a
questi dati di partenza già compromessi si aggiunge che delle 22
iniziative imprenditoriali un buon 30% pare essersi disciolto e che ad
oggi non risultano essere mantenuti gli impegni occupazionali che
avrebbero dovuto vedere alla luce ben 404 nuovi posti di lavoro a saldo
dei finanziamenti, i risultato complessivo dell’esperienza non può che
essere negativo. Altro
elemento che fa pensare male a tale strumento di programmazione negoziata
deriva dal fatto che da due anni circa non viene più convocato alcun
tavolo di concertazione provinciale sullo sviluppo del territorio.
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