Ponte sullo stretto e capitale sociale
E’ il tema che mi è stato assegnato da Alessandro Severino,
giovane studioso e curioso della nostra realtà ennese,
impegnato ad approfondire il variegato e complesso argomento
della realizzazione del Ponte sullo Stretto. Non
possiamo affrontare il problema sul rapporto tra il Ponte
sullo Stretto e il capitale sociale se prima non cerchiamo
di dare una definizione di quest’ultimo, a partire
dall’eccezione originaria che si deve a James Coleman. Per
Coleman il capitale sociale è l’insieme delle relazioni
sociali di cui un soggetto collettivo dispone in un
determinato momento. Attraverso il capitale di relazioni si
rendono disponibili risorse cognitive, come le informazioni,
o normative, come la fiducia, che permettono ai soggetti di
realizzare obiettivi che non sarebbero altrimenti
raggiungibili, o lo sarebbero a costi molto più elevati. Il
capitale sociale è dunque produttivo come altre forme di
capitale: quello fisico (costituito da beni materiali o
monetari) e quello umano (conoscenze e abilità acquisite dai
soggetti). La domanda che Alessandro Severino mi pone è se
la realizzazione del Ponte sullo Stretto potrà generare
forme di capitale sociale. Difficile rispondere in chiave
previsionale, ma non impossibile se riusciamo a depurare il
ragionamento da pregiudizi ideologici e dalle aspre
polemiche che continuano ad impregnare il dibattito attuale
sull’argomento. Un tipico errore è, ad esempio, parlare di
sviluppo locale pensandolo come materia di esclusiva
competenza degli attori locali e che tali attori, proprio
perché locali, siano per definizione anche piccoli e
stanziati in territori di piccole dimensioni. Non può essere
questa una visione aggiornata dello sviluppo locale e degli
interventi in campo sociale. Nella realtà oprano infatti,
sempre più spesso, operatori che non solo possono
intervenire anche da altre aree territoriali, ma che sono di
dimensioni rilevanti. Sono i cosiddetti big players,
cioè grandi operatori le cui risorse vengono di fatto poste
a servizio dello sviluppo e della convivenza delle comunità
locali. E come ha sostenuto Aldo Bonomi in occasione della
V° Giornata della Fondazione Sussidiarietà, Sviluppo e
Corpi Intermedi della Società del 2 giugno 2005, questo
ragionamento impone di rivedere l’interpretazione
tradizionale secondo la quale il solo fatto che ad
intervenire siano anche grandi operatori sarebbe di
detrimento per il territorio di una comunità locale. Per
Bonomi “l’azione di una grande impresa multinazionale, di
un grande ente gestore di infrastrutture, può adattarsi alle
ragioni del territorio, può tenere in conto le esigenze
della comunità locale, può in definitiva coniugarsi con le
esigenze di sviluppo e di convivenza di quella comunità”.
Ecco allora che, senza pregiudizi, una grande impresa, può
vedere le risorse locali come vantaggi per le proprie
strategie, ma al contempo può, proprio a questo scopo,
procedere alla loro valorizzazione, non alla loro
dissoluzione. Così, un grande ente gestore di una grande
infrastruttura, quale potrebbe essere il Ponte sullo
Stretto, potrebbe magari incentivare la costruzione di
grandi arterie che danneggiano la qualità del paesaggio e
dell’ambiente, ma in altri casi potrebbe anche favorire la
maggiore interconnessione tra aree territoriali fino a quel
momento marginali e isolate. Potrebbe, quindi, favorire
anche la nascita di capitale sociale confidando su un
capitale finanziario che permette l’esercizio continuato
della funzione di pubblica utilità. Potrebbe caratterizzarsi
come attore della società di mezzo attraverso la
riproduzione di beni relazionali con cui favorire
l’inclusione degli individui altrimenti destinati
all’emarginazione; potrebbe promuovere le reti di relazione
tra imprese altrimenti destinate all’esclusione dallo
scenario competitivo; potrebbe incentivare le reti tra
istituzioni pubbliche e private, altrimenti consegnate
irreversibilmente alla delegittimazione presso i rispettivi
interlocutori della società e dell’economia. In sostanza,
bisogna prefigurare uno scenario in cui la realizzazione del
Ponte sullo Stretto rappresenti la posa della prima pietra
anche per la creazione di una nuova élites. Cioè la
creazione di una classe dirigente che sappia governare i
nuovi problemi, non semplicemente, come accadeva un tempo,
al cospetto di opportunità politiche ed economiche. Le nuove
élites, infatti, prendono forma in un nuovo aggregato
sociale, la neoborghesia, dotata di una visione più ampia di
quella strettamente locale. Nulla osta a che un’opera, così
faraonica e suggestiva come il Ponte sullo Stretto, possa
generare questo nuovo modello di sviluppo locale, di
capitale sociale, di classe dirigente in cui si possano
coniugare interessi di corto e di lungo respiro, i propri e
quelli degli altri, la conoscenza implicita nel proprio
contesto con quella formalizzata in codici e procedure di
vasta scala.
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