massimo greco

 

 

 

 

Il silenzio dei burocrati uccide l’economia 

Il rapporto tra burocrazia ed economia è stato sempre caratterizzato da fibrillazioni tanto da essere configurato più un unione di fatto che un matrimonio. Le motivazioni ci porterebbero alla dicotomia Stato-sociale/Stato-liberale o alle “gabbie di ferro” di weberiana memoria, ma alle soglie del 2007 sarebbe poco funzionale affrontare il problema in chiave ideologica. La riflessione invece va fatta partendo dalla considerazione che la libera iniziativa dell’impresa è fondamentale per alimentare i motori dell’economia, così come la Pubblica Amministrazione è necessaria per assicurare la cura concreta degli interessi generali di una collettività. La legislazione ha nel tempo fatto la propria parte per evitare che la P.A. diventasse un ostacolo per i processi economici e, a partire dagli anni ’90, ha ribaltato il rapporto di forza tra cittadino/impresa e Pubblici Uffici, mettendo in primo piano gli interessi del primo. Addirittura l’interesse del cittadino a ricevere risposte dalla P.A. entro tempi certi viene oggi individuato tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Oggi, quindi, il legislatore ha fatto passi da gigante, ritenendo necessario dotare il cittadino/impresa di tutti gli strumenti per impedire alla P.A. di vessare la propria attività attraverso inutili richiami a lacci e laccioli che, aggravando inutilmente i procedimenti amministrativi, generano gravi rallentamenti ai processi economici di una comunità. Ciò nonostante i burocrati continuano a “fregarsene” delle leggi esistenti e del danno che fanno all’economia, sicuri di non essere denunciati alla competente Autorità Giudiziaria per omissione o rifiuto in atti d’ufficio o per azioni risarcitorie a seguito dei danni subiti. In effetti non capita spesso di sentire i cittadini ribellarsi e, stranamente, anche le associazioni di categoria e gli ordini professionali, sembrano incapaci di gridare giustizia. Così assistiamo a centinaia di progetti fermi all’Assessorato Reg.le Territorio e Ambiente che aspettano da anni un parere che dovrebbe essere concesso in considerazione che il sito interessato ricade in area d’interesse comunitario. O, ancora, a centinaia di pratiche d’esproprio per pubblica utilità ferme da decenni presso le Soprintendenze ai Beni Culturali ed Ambientali, incuranti del fatto che in alcune aree gravate da vincoli esistono insediamenti produttivi. O, ancora, a decine di progetti d’investimento giacenti presso gli Uffici tecnici comunali per l’incapacità di estendere le aree artigianali esistenti. Centinaia di pratiche che potrebbero alimentare un’asfittica economia locale e ossigenare un comparto, quello edile, che non si è più ripreso dalla crisi di tangentopoli. Bisognerebbe periodicamente ricordare ai “colletti bianchi” della burocrazia che la loro “scrivania” non è frutto di una scelta divina ma di un chiaro accordo stipulato tra i cittadini e lo Stato, in forza del quale i cittadini s’impegnano attraverso le tasse a pagare lo stipendio dei dipendenti pubblici a condizione di riceve servizi rispettosi della trasparenza, dell’efficienza e dell’economicità. Ben venga, pertanto, l’iniziativa governativa finalizzata a risarcire i cittadini nel caso in cui il burocrate sfori i tempi previsti dalla legge per rilasciare la prescritta autorizzazione ed a sanzionare i dirigenti pubblici inadempienti. Ben venga pure l’istituzione di una specifica Agenzia che valuti asetticamente l’operato delle singole pubbliche amministrazioni e della rispettiva classe burocratica.   

 

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